Genitori tossicodipendenti, sì all’adottabilità della figlia

A cura dell’avv. Giampaolo Pisano

Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. – Sent. del 18.04.2012, n. 6052

Presidente Luccioli – Relatore Piccininni

Svolgimento del processo

Con decreto del 7-13.6.2007 il Tribunale per i Minorenni di Torino disponeva l’apertura del procedimento finalizzato ad accertare l’esistenza dei presupposti per la dichiarazione di adottabilità della minore A.A.S. , e contestualmente ne vietava il rientro presso i genitori (la minore era collocata in famiglia affidataria); prescriveva a questi ultimi di fare ingresso in comunità terapeutica e di accettare di sottoporsi ad un programma finalizzato al recupero dalla tossicodipendenza ed all’acquisizione di capacità genitoriali; stabiliva che i genitori potessero incontrare settimanalmente la minore in un luogo neutro.

Sospendeva la potestà, nominando per l’effetto un tutore provvisorio. In particolare il Tribunale, dopo aver rilevato che i genitori di A. (affetta da sindrome da astinenza neonatale) erano da tempo tossicodipendenti, che la madre aveva interrotto il rapporto con il Ser.T. dal mese di gennaio, che una sua precedente figlia (nata nel …) era stata dichiarata adottabile all’età di due anni, che i genitori si erano conosciuti in carcere sette anni prima, che la donna aveva ammesso di aver assunto sostanze stupefacenti durante la gravidanza, che entrambi avevano dichiarato di essere intenzionati ad intraprendere un percorso comunitario, evidenziava l’apprezzabilità della detta manifestazione di intenti, ravvisando tuttavia la necessità di mantenere la collocazione della minore in comunità, in attesa di verifica circa il buon esito del progetto riabilitativo.

All’esito dell’istruttoria il Tribunale emetteva sentenza con la quale dichiarava lo stato di adottabilità di A.S. , inserendola in famiglia avente i requisiti per una futura adozione e prevedendo incontri di cadenza quindicinale con i genitori. La decisione, impugnata da questi ultimi, veniva confermata in sede di gravame.

In proposito la Corte di Appello osservava che gli elementi acquisiti nel corso del processo potevano consentire di affermare che il percorso di affrancamento dei genitori dallo stupefacente aveva avuto una progressione positiva per circa un anno ed aveva quindi subito una forte involuzione con recidiva nell’assunzione; che la collaborazione dagli stessi prestata in funzione del buon esito del programma terapeutico non era stata costante e per di più, sul piano valutativo della personalità, sia il S. che la D.B. avrebbero manifestato una tendenza alla minimizzazione delle loro difficoltà e responsabilità; che era stata registrata una ricaduta nell’assunzione di droga, verosimilmente imputabile alla frustrazione derivante dalla insoddisfatta attesa per il ricongiungimento con la figlia; che le attitudini di S. e D.B. a prendersi cura della minore non avrebbero avuto una verifica positiva in quanto, a causa della ricaduta nell’uso di sostanza stupefacente, nella primavera del 2008 si sarebbe determinata “una impasse nel progetto terapeutico”; che in tal senso avrebbe deposto anche l’espletata consulenza tecnica; che il problema della tossicodipendenza, quindi, non sarebbe stato definitivamente risolto; che la relazione del tutore si era espressa in termini positivi sull’inserimento di A. nell’ambito della famiglia affidataria; che le personalità dei due genitori non avrebbero offerto elementi rassicuranti circa la loro idoneità ad esercitare la potestà genitoriale; che pertanto le esigenze della figlia inducevano alla conferma del provvedimento impugnato.

Avverso la decisione S. e D.B. proponevano ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resisteva con controricorso il tutore di A.S.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza del 28.3.2011.

Motivi della decisione

Con i motivi di impugnazione i ricorrenti hanno rispettivamente denunciato:

1) violazione degli artt. 1 e 15 l. 184/1983, per il fatto che tali norme attribuirebbero al minore il diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia, sicché l’adozione rappresenterebbe uno strumento eccezionale da utilizzare quale estremo rimedio, e soltanto dopo l’esperimento di tutti i mezzi per evitarla. Nella specie tuttavia il detto esperimento non sarebbe stato posto in essere, atteso che la disponibilità a prestare assistenza alla figlia da essi manifestata, e da attuare con l’inserimento della minore in comunità in conformità di quanto aveva richiesto il P.M., non aveva avuto seguito per mancata autorizzazione da parte dei giudici, e ciò avrebbe a torto precluso le pur necessarie verifiche;

2) violazione degli artt. 1 e 8 l. 184/1983, sotto il profilo dell’affermato collegamento fra lo stato di abbandono della minore e le pretese inadeguatezze dei genitori, sostanzialmente individuate nel comune trascorso di tossicodipendenza.

Il relativo giudizio sarebbe infatti errato in ragione del carattere transitorio della situazione di abbandono, desumibile dal carattere superabile (e per l’arco di tempo antecedente alla ricaduta di fatto superata) della condizione di tossicodipendenza;
3) violazione degli artt. 18 Convenzione New York 20.11.1989 e 30, comma 2, Cost. per lesione dell’interesse primario del minore, che viceversa avrebbe dovuto essere identificato nella possibilità di crescere nella famiglia naturale, senza separazione dalla famiglia biologica;

4) vizio di motivazione in ordine all’esistenza dei presupposti per la declaratoria dello stato di adottabilità, non essendo stati adeguatamente valorizzati la positiva evoluzione della condizione personale di essi ricorrenti, il loro totale (anche se poi non definitivo) recupero, l’adeguatezza dell’abitazione, la percezione di reddito dall’attività lavorativa svolta, la continuità degli incontri genitori – figlia, proseguiti in ragione dell’implicito convincimento della loro utilità in funzione di un possibile recupero della potestà genitoriale;

5 ) violazione degli artt. 1, 8, 15 l. 1983/184, 18 della Convenzione di New York, 30, comma 2, Cost. e vizio di motivazione, per l’omesso esame dei rilievi critici sollevati dal consulente di parte nei confronti della relazione del consulente di ufficio e delle conclusioni da questi formulate. Osserva il Collegio che le censure risultano essenzialmente incentrate su tre profili, vale a dire: a) sull’eccezionalità dell’istituto dell’adozione e sull’identificazione dell’interesse del minore nella tutela della sua posizione nell’ambito della famiglia naturale (primo e terzo motivo); b) sulla fisiologica non definitività della condizione di tossicodipendenti in cui versavano essi ricorrenti (secondo motivo); c) sulla inadeguata valutazione dei dati rilevanti ai fini del giudizio circa l’esistenza dei presupposti necessari per la dichiarazione dello stato di adottabilità (quali la positiva evoluzione nel programma terapeutico, l’attenzione manifestata nei confronti della figlia, l’idoneità dell’abitazione, la sufficienza del reddito percepito), oltre che sulla mancata considerazione dei rilievi svolti dal consulente tecnico di parte (quarto e quinto motivo); e sono infondate.

Ed infatti sul primo punto occorre evidenziare come la Corte di Appello non abbia reso alcuna affermazione di principio astrattamente confliggente con quelli sopra delineati, consistenti nella residualità del rimedio dell’adozione rispetto a soluzioni che assicurino la permanenza del minore nella famiglia naturale. Al contrario, la Corte territoriale ha ritenuto che nel concreto i “tratti di personalità di ciascuno degli interessati” non consentissero loro “né all’attualità, né in prospettiva futura di assolvere il proprio ruolo in modo adeguato e consono alle aspettative ed esigenze della figlia”, e che dunque nella valutazione complessiva dei dati acquisiti la soluzione adottata fosse quella preferibile, nell’esclusivo interesse della minore. Si tratta quindi di valutazione di merito, che risulta sorretta da adeguata motivazione e che, contrastata dai ricorrenti con una interpretazione del materiale probatorio di segno opposto – che a loro dire dovrebbe indurre ad un’affermazione di inesistenza dei presupposti per la relativa dichiarazione -, non è sindacabile in questa sede di legittimità.

In ordine al secondo aspetto sopra richiamato, l’infondatezza della doglianza si desume dall’errata interpretazione della ragione della contestata decisione.

Contrariamente infatti a quanto sostenuto dai ricorrenti, la criticità di fondo della coppia posta a base della dichiarazione di adottabilità della minore non è stata individuata nel loro stato di tossicodipendenza (in relazione al quale S. e D.B. hanno mosso le loro censure) ma, piuttosto, nei limiti di personalità ad essi riconosciuta, circostanza da cui sarebbe disceso che “si trattava di un problema strutturale e strutturato” (p. 8, 1 periodo).

La doglianza pertanto non coglie nel segno e per tale ragione la stessa risulta inammissibile. Resta infine l’ultima censura sollevata dai ricorrenti, rispetto alla quale va rilevato che la Corte di Appello ha sufficientemente motivato la propria decisione svolgendo argomentazioni non viziate sul piano logico, avendo segnatamente evidenziato, pur dando atto degli apprezzabili sforzi compiuti dai ricorrenti: che il problema della tossicodipendenza non appariva definitivamente risolto; che la personalità di ciascuno degli interessati appariva debole e non ben strutturata; che le rispettive storie personali risultavano caratterizzate dalla minimizzazione delle difficoltà; che “la figlia viene vissuta come un prolungamento di ognuno di essi e percepita come il loro salvatore e redentore”; che al contrario la bambina, pur avendo con i genitori un rapporto “improntato a piacevolezza” aveva manifestato un attaccamento sicuro con la famiglia affidataria, attaccamento non allo stesso modo ravvisabile rispetto ai genitori biologici, “insicuri e frustrati, non ancora in grado di rispondere ai suoi bisogni”. Quanto poi ai rilievi del consulente tecnico di parte, che sarebbero stati a torto ignorati, va considerato, da una parte, che gli stessi sono stati implicitamente disattesi dalla Corte di Appello, che con congrua motivazione ha ritenuto di aderire alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio e, dall’altra, che nel motivo di impugnazione non sono indicati i rilievi che sarebbero stati a torto pretermessi, sicché la censura sul punto risulta comunque viziata sul piano dell’autosufficienza. Il ricorso conclusivamente deve essere rigettata, con compensazione delle spese del giudizio di legittimità in ragione della delicatezza delle questioni prospettate e del ragionevole convincimento sul piano soggettivo, da parte dei ricorrenti, della correttezza delle argomentazioni svolte.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Depositata in Cancelleria il 18.04.2012